Simbruini - Verso la Monna ed il monte Ortara

Ciaspolando da vagabondi senza meta


Chi avrebbe voglia di raccontare “solo” di una bella giornata all’aria aperta, di tanta neve, di una ciaspolata ed alla fine di una mangiata in una trattoria che appartiene al passato tanto è “old-style” e folkloristica? Nessuno? Io lo faccio. Per i più temerari, quelli per cui la mancanza di montagna provoca astinenza e forti depressioni, per quelli impegnati nella continua scalata alla “vetta” del Club2000, le scorse settimane di forte tempo perturbato e di forti nevicate non hanno quasi rappresentato ostacolo; per me, meno temerario o semplicemente moderatamente appagato, hanno rappresentato un invito a diversificare ed occuparmi d’altro. Le pagine di Facebook e Google sono piene di foto e reportage “avventurosi” , sono state piene di annunci, inviti, programmazioni al limite della sicurezza, la montagna ha brulicato lo stesso di escursionisti , scalatori e sciatori. Anche il pericolo valanghe elevato al livello 4 non ha fermato i temerari, figuriamoci questa Domenica che si presenta finalmente assolata, che richiamo irresistibile che sarà per tutti a buttarsi tra la neve fino alla cintola!! Speriamo che la saggezza e la prudenza la vincano sulla “voglia di avventura” e che nei prossimi giorni non si debbano commentare di nuovo notizie che non vorremmo mai sentire. Comunque da amanti della montagna che siamo, se le lunghe astinenze non provocano esattamente depressioni , certamente malumori ne fanno nascere anche in noi; non resistiamo al canto delle sirene nemmeno io e Marina, cercando di sfruttare la mezza giornata di sole prevista della Domenica, e che nemmeno tutti i siti meteo garantiscono, ci diamo da fare per cercare di individuare una bella zona dove poterci avventurare in una sicura ciaspolata. La meta ideale doveva avere importanti e semplici caratteristiche, essere facile da raggiungere vista la sola mezza giornata a disposizione e fuori da percorsi impegnativi o poco sicuri; sto smaniando per un anello intorno al Boccanera, Val di Rose e Val Iannanghera, ma la lunghezza dell’anello, complicato certamente dall’abbondanza di neve che troveremmo intorno a Passo Cavuto e alla sella di Forca Resumi insieme alla distanza di Villetta Barrea, già lontana di suo, ne facevano un progetto inattuabile. Soppesata ancora una volta la zona del Velino, ma il meteo in quella zona si manteneva coperto e non allettava molto; poi la zona intorno o sul Viglio, ma la montagna in alto ha quei lunghi piani tristemente famosi, nulla da fare per oggi. L’area dei Cantari mi ha però fatto venire in mente la possibilità di fare una passeggiata sui più bassi e vicini Simbruini, molto bistrattati e poco conosciuti; amo poco frequentare la montagna “facile” e molto frequentata ma le condizioni attuali costringevano a volare basso, alias hanno vinto i criteri di vicinanza e di comodità; per non privarsi completamente delle aree sensazioni e degli spazi vasti delle montagne più alte mi è venuto in mente una comoda passeggiata da Campo Catino verso monte Ortara e La Monna, magari senza pretendere troppo da quella che non poteva essere altro che una passeggiata, scendendo nei tempi giusti, ci sarebbe potuta scappare anche una bella mangiata in qualche trattoria ciociara. Quando arriviamo a Campo Catino la stazione sciistica è già in fermento ma ancora vuota; siamo tra i pochi che non tiriamo fuori dalla macchina un paio di sci, ci sentiamo osservati. Ci defiliamo verso il piano e seguendo tracce battute a fianco alle piste in basso ci inoltriamo nella conca. Di neve ne ha fatta davvero tanta anche a queste quote, siamo intorno ai 1800 metri, fuori dalle zone battute anche con le ciaspole si affonda di una ventina ci centimetri , a volte più. Traversando arriviamo in cresta e lo scenario cambia; rumori, musica e confusione della stazione sciistica svaniscono, il mezzo anello del percorso che dovremmo percorrere fino alla Monna è tutto davanti, sotto, la valle fino a Guarcino ed Alatri appare scura e buia. Verso Ovest l’orizzonte si perde sulla mole del monte Circeo, nell’azzurro del mare che si confonde con quello della caligine e del cielo, anche i profili di qualche isola Pontina si riesce a scorgere, ma occorre prestare maggiore concentrazione. Un primo tratto in cresta, poco oltre il monte Vermicano la neve è crostosa e affonda poco, la vista ad Est spazia fino al monte Crepacuore e lontano, dietro, fino alle coste ripide del Viglio; oltre un traverso sotto la vetta del Peschio delle Cornacchia la neve non trattiene il peso e si affonda. Sono belle le strette conche sottostanti, quelle formate dai tondi promontori del versante prima di sprofondare verso valle, sinuose linee vengono esaltate per la morbidezza che viene conferita da un manto vergine di immacolata neve e dalle lunghe ombre formate da una illuminazione ancora radente. Le linee delle ombre costruiscono improbabili quanto reali “scatti in bianco e nero”, i colori basilari della tavolozza si rincorrono ad ogni cambio di pendenza, un paesaggio semplice eppure catalizzante. Difficile isolarlo al cospetto di un cielo blu cobalto che sembra avvolgere tutto. Affondando e per questo lenti, ci avviciniamo al Passo del Diavolo, La Monna è sempre più vicina e così il monte Ortara, là, in fondo alla cresta che stiamo per ritrovare; verso Est si riescono ad intuire la lunga cresta del Sirente e le profonde rave della Majella. Poi nel giro di pochissimo quelli che sembrano innocui sbuffi grigiastri che salgono dalla valle diventano grossi cumuli sbuffanti, salgono e si stendono sulle cime che velocemente vengono inghiottite; non c’è più La Monna, non c’è più l’Ortara, figuriamoci il monte Rotondo, più basso e più lontano sulla cresta. Insistiamo ancora un po’ , scoraggiati e delusi dal repentino cambiamento di scena. Quando stiamo per entrare nel niente delle nubi siamo indecisi se continuare per assaggiare l’affascinante inconsistenza del nuovo ambiente o se preferire i caldi raggi del sole. Dietro c’è luce, nulla verso Nord sembra mettere in dubbio la bella giornata che era. Inversione di rotta, sul traverso appena effettuato, più veloci ripercorriamo la nostra stessa traccia. Una sosta in sella a dominare la valle sottostante; meraviglioso quel rifugio laggiù in mezzo alla conca, Peschio delle Ciavole c’è scritto sulle carte per distinguere la piana, quasi sparisce avvolto da uno spessa e sembra soffice coperta di neve. Siamo tentati di avventurarci fino a raggiungerlo, in fondo siamo lì vagabondi senza una meta; il pendio è leggero, disposto verso Est ha però raccolto un mare di neve, un oceano di neve, anche le ciaspole servono a poco in questi casi a meno di non volersi avventurare per il solo gusto di farlo. Ancora dietro front, ci si tornerà in primavera per raggiungere da lì il monte Crepacuore; tornando ancora indietro ci inoltriamo in una cresta che scende verso la grande valle ad Est, verso il centro dei Simbruini, ricoperta da un fitto bosco. Sembra una passerella che si inoltra nella valle, fa godere di nuove prospettive, abbassandosi raggiunge il limitare del bosco, un paio di gradini si scende ancora fino ad un tondo spigolo; solo una sottile traccia, forse una volpe, chissà cosa altro, intorno quelle che sono le cime dei faggi piegate da grossi e congelati cuscini di neve. Sprofondiamo fino alle ginocchia, ci siamo abbassati e ha smesso di infastidire anche quella sottile brezza di vento che insisteva più in alto. Un angolo suggestivo, in tre direzioni basterebbero pochi passi per precipitare sui ripidissimi versanti , i grossi faggi sembrano piantine tanta è la neve che li ha seppelliti, banale quanto si vuole ma è un angolo meraviglioso. Oltre la profonda valle, oltre quelle creste verso Est, a davvero poco in linea d’aria, il versante scende nella conca di Zompo Lo Schioppo, basta questo per farmi intrigare dai Simbruini “minori”. Ritorniamo indietro e riprendiamo la cresta che a questo punto ci conduce sul bordo di Campo Catino; eravamo bassi, non ci accorgiamo che le nuvole che insistevano sulla Monna si stanno lentamente appropriano di tutto il versante. D’altra parte le previsioni meteo lo avevano previsto, nel primo pomeriggio sarebbe stata di nuovo neve. E’ ancora presto per desistere, continuiamo in cresta intorno a tutto Campo Catino; mi faccio avvolgere dagli “sconosciuti” Simbruini, in fondo è una sensazione nuova quella di non riuscire a dare un nome alle infinite montagne che abbiamo la davanti. Immagino linee e anelli di cresta per primaverili escursioni, nessuna meta precisa ma solo un su e giù per una manciata di montagne, dentro e fuori dai boschi; credo sia proprio arrivata l’ora di approfondire la conoscenza di queste montagne , un desiderio nuovo, un nuovo progetto, in fondo un valore aggiunto per l’escursione odierna. A metà dell’anello di cresta in aria rimangono solo flebili suoni che salgono da Campo Catino, ormai più nulla appartiene al mondo e quello che prima abbiamo schivato ci ha ora avvolto silenziosamente, siamo nel totale offuscamento delle nuvole. Toccata la piramide di rame, della cima del monte Agnello, una sorta di elemento riflettente luce nella conca di cui non ho ben capito la spiegazioni, non rimaneva che seguire alcune tracce presenti a terra e ancora meglio i rumori del cicaleccio degli sciatori. Nel giro di mezz’ora o poco più siamo nel mezzo dello schiamazzo della stazione sciistica. Le piste sono affollate, il parcheggio ancora di più, ci affrettiamo a raccogliere l’attrezzatura e filiamo velocemente via da ciò che non sembra più nemmeno montagna. Più in basso ci fermiamo in uno spiazzo per toglierci di dosso gli indumenti bagnati e sudati. Non rimaneva che scendere a valle confidare nella sorte per una buona soluzione mangereccia. Nel bel mezzo di Guarcino, dopo aver chiesto inutilmente consiglio a degli indigeni (a ripensarci bene non credo che lo siano poi stati tanto) mi lascio attrare da un cartone scritto a mano, sbilenco su un parapetto, mezzo coperto da non ricordo cosa; mezzo coperto, scoperto quel tanto che bastava per capire che c’era scritto “oggi gnocchi”. Il cartello e la scritta casareccia lasciavano presagire uno di quegli ambienti spartani che adoro, dove l’unica cosa che conta è il cibo ed il contatto umano. Poco più in là, un tavolo quasi apparecchiato con un altro cartello ancora più casareccio preannunciava per oggi anche la polenta. Eravamo vicini; nemmeno una insegna, in un vicolo un portone ed una finestra da cui trapelava solo un vocio tipico di chi se la godeva al cospetto del cibo. Entro timidamente, quasi entrassi in casa altrui senza chiedere permesso. In una stanza da una quarantina di metri quadrati 6 tavoli ospitavano una trentina di commensali, solo un tavolo da due era libero, sembrava quasi ci aspettasse. L’ambiente era quello di un’osteria di una volta, attigua alla sala la cucina dove le donne e l’oste di poche parole erano impegnati nella preparazione dei piatti. Alla domanda se avevo prenotato mi è preso un accidente, sta a vedere che non ci fanno sedere, ma una scrollata di spalle della “ostessa” significava che andava bene. Si mangiava quello che c’era e comunque l’offerta andava oltre le aspettative. Una polenta con salsicce e costolette ci ha scaldato immediatamente la giornata, viaggiavano piatti di arrosti con patate e carciofi che facevano languire lo stomaco, ma noi senza prenotazione non potevamo forse ambirci, come detto si mangiava quello che la cucina poteva offrire. E allora, annaffiato da un rosso della casa, il tipico cesanese di zona, ci siamo “adattati” con dei pecorini veramente locali e dai sapori antichi, patate arrosto, carciofi e cicoria che mai ho assaggiato così amara. Come se si mangiasse a casa della signora in pratica. Come del resto è stata l’accoglienza e la simpatia. Rustica quel tanto che basta, sorridente e gentile. Potete immaginare il conto, semplicemente m’è sembrato di fare un salto indietro nel tempo. Osterie davvero di una volta che pensavo non esistessero più. Per non fare pubblicità sto parlando dell’Osteria La Ruota, da Mario e Sista, a due passi dal municipio, in via del Monastero 5 a Guarcino e visto che ci è stata chiesta la prenotazione (davvero necessaria, non ci sono più di 25 posti credo) vi lascio anche il telefono 0775.46660. Più di un obiettivo raggiunto oggi, intanto abbiamo passato una giornata all’aria aperta, abbiamo in ogni caso fatto una ciaspolata divertente, abbiamo conosciuto ambiente e assaporato sapori di una antica osteria, ma soprattutto abbiamo aperto un nuovo capitolo degli Appennini fino ad oggi quasi inesplorato; i monti Simbruini, quelli minori, quelli sotto i 2000 per intenderci, un mondo di sentieri e di boschi che dovranno necessariamente conoscere meglio le suole dei nostri scarponi.